domenica 5 agosto 2012

Sette gradini verso il paradiso dantesco

Questa mattina, facendo come mio solito zapping tra i canali televisivi, sono trasalito nell'udire un prelato citare un verso della Divina Commedia apostrofando poi Dante quale "sommo poeta della cristianità". 
Il mio pensiero è corso all'alchimista (e in un certo senso "compagno" di Fulcanelli)  Schwaller de Lubicz. Egli nel suo, a tratti controverso, Propositi su Esoterismo e Simbolo così sintetizza  gli espedienti utilizzati nei testi ermetici per celare l'Arcana Dottrina; corredando l'esposizione con la motivazione per cui, secondo l'autore, essi si rendono non solo necessari ma indispensabili:

"L’immediato é facile, l’utile é facilmente piacevole, ma pensare é penoso; l’inutile
infastidisce il fannullone. Ora, il tentativo di stasi e l’inerzia comandano tutta la Natura e, senza l’apporto nuovo di un impulso spinto da un’energia, essa degenera, va’ verso il più facile, si disgrega, si degrada, cade.
Questo é valido per tutto. Se dunque noi vediamo la generazione di una vita, é che c’é apporto.
La parabola letterale é come la curva parabolica in geometria; un centro focale ed innumerevoli raggi paralleli tutti concentrati per riflesso. 
L’allegoria, invece, gira attorno al centro, come il gatto attorno un piatto troppo caldo;
essa é ingannevole oppure infantile se vuole essere sincera. 
La metafora é uno stratagemma indegno dell’esoterismo. 
Il “gioco di parole”  (nel testo originale in francese il termine è "calembour" ed evoca meglio il concetto)  esige una grande erudizione e conoscenza etimologica. Questo mezzo é il parente più prossimo della Cabala"


Tomba quadripartita di Schwaller de Lubicz

Dante Alighieri nella Comedia è ricorso a tutti i sotterfugi elencati da Schwaller de Lubicz anche se a volte, volendo riconoscere il "dolo ma non la colpa" (perdonatemi per l'inutile sfoggio del magistero in legge), i copisti medievali hanno reso il già arduo compito della comprensione ancor più faticoso. 

Da buon cittadino di Platonopoli  il refuso di copiatura che più mi irrita per la sua importanza nella comprensione dell'esoterismo dantesco è quello del  IV canto del Paradiso
Il verso 63 è così riportato nella totalità delle edizioni attualmente in commercio:
"Questo principio, male inteso, torse
già tutto il mondo quasi, sí che Giove,
Mercurio e Marte a nominar trascorse"
Il Canto  descrive la  discesa delle anime dalle stelle (pianeti) ai corpi umani durante la (ri)nascita e il loro ritorno in cielo a seguito della morte fisica; in conformità al  Timeo, come Dante professa apertamente nel verso 49: "Quel che Timeo dell'anime argomenta".

Il verbo 'nominar' del verso 63 così viene commentato dall'enciclopedia dantesca treccani nell'edizione del 1970:

nominare. - Accanto al significato originario di " dare nome " (v. NOMARE), ravvisabile in Pd IV 63 sì che Giove, / Mercurio e Marte a nominar trascorse (il mondo pagano, malamente  interpretando la dottrina platonica degl'influssi celesti, dette ai pianeti nomi di divinità) - " ricever nome ", al passivo (Vn XXIV 4, Cv IV VI 12) - ha frequentemente in D. il valore di " pronunciare il nome " di qualcuno, e quindi " individuare qualcuno svelandone il nome "


Peccato che nei  Codici più antichi e quindi più vicini temporalmente all'originale non troviamo il verbo nominare, bensì un vocabolo molto più denso di significato: 'numerar'.
Di seguito riporto la trascrizione del verso 63 (6+3=9  Dante utilizza i numeri alla stregua di sottolineatura) tratto dal codice denominato "076" conservato nella Biblioteca Comunale e dell'Accademia Etrusca la cui redazione nel XIV sec. è attribuita al copista Romolo Lodovici:

       "Questo principio male inteso torse
       gia tucto l mondo q(uas)i si che gioue
       mercurio (et) marte a numerar trascorse"


Ingrandimento del verso 63 nel Codice "076" del XIV sec.
in rosso evidenziata la parola "numerar"

L'importanza del vocabolo originalmente utilizzato risiede nella varietà di significati che numerar sottintende: il numero dei pitagorici, l'allegoria che risiede nel sette ed infine lo stupendo "gioco di parole" , il francese "calembour" di de Lubicz , che evoca Numa Pompilio.
Numa il pitagorico, erede del sapere italico e greco, primo Pontefice dei Romani.

Il cielo degli antichi Iniziati era un cielo allegorico così come i sette pianeti tolomeici non erano altro che i sette gradi di elevazione che separano il "basso tartaro dall'alto cielo".
Dante sapeva bene che   Numa Pompilio fosse un pitagorico e cosa si nascondesse dietro i sette libri pontifici ad egli attribuiti e nascosti agli occhi del volgo romano già al tempo della presa della città da parte dei Galli. Da non confondersi con la lex regia, libro composto da 8 tomi.
Tito Livio negli  Ab Urbe Condita (lib.25 cap.I) ci tramanda che, successivamente, furono ritrovati  in un'urna sepolta ai piedi del Gianicolo sette libri ritenuti scritti da Numa assieme (in un'altra urna adiacente) a sette libri di filosofia scritti in greco. 

Il ritrovamento dei libri di Numa Pompilio in un dipinto del '500 di Giulio Romano
(da notare l'edificio in secondo piano disegnato secondo i canoni proporzionali del numero aureo)








Il pretore urbano Quinto Petilio, dopo averli letti, ritenne che fossero molto pericolosi per la religione e in accordo con il senato li fece bruciare.

"...cum animadvertisset pleraque periculosa contra deorum religionem esse. Senatu consentiente, libri in foro, igne a victimariis facto, cremati in conspectu populi sunt."
Sette libri in latino e sette in greco: la catena iniziatica non era stata interrotta. La motivazione del rogo è la stessa che anima le parole di Sallustio quando scrive che

"...per volere tutti imparare la Verità, negli scarsi d'ingegno s'ingenera disprezzo, negli ingegnosi pigrizia; ma il nascondere la verità per mezzo di favole fa si che agli uni non è lecito disprezzare ed agli altri è mestiere fisolofeggiare."

Il commediografo (e scrittore) Ivan Mosca al temine di  rappresentazioni teatrali particolarmente riuscite soleva dire che "il canovaccio è sempre lo stesso ma a volte sono le interpretazioni degli attori a fare la differenza". Ottimo aforisma valido sia per il teatro che per la Tradizione esoterica.


Dei olimpici raffigurati nel Palazzo Te a Mantova 

L'Unità dell'Ente Supremo sparsa  nelle sue manifestazioni, ciascuna delle quali creata come un Tutto: ecco l'origine del politeismo nato dal monoteismo e mascherato in una religione ritenuta adatta ad un popolo fantasioso abituato ad appagare più i sensi che l'intelletto.
Gli Dei rappresentati dai pianeti sono così  i protagonisti di una favola che se superata in elevazione porta alla Verità rappresentata dal Sole Metafisico, l'unico astro in grado di emettere Luce al contrario degli altri capaci solo di rifletterla. I sette pianeti danzano attorno al Sole come le sette Muse accompagnano con la loro arte canora Apollo, entrambi  rivelando l'armonia dell'Universo. In basso le sette Arti Liberali simboleggiano tale armonia nell'Uomo. 


Rappresentazione delle Arti Liberali dell Cattedrale di Chartres

Esse vengono definite "liberali" in quanto producono valori non materiali, differentemente dalle "arti meccaniche". Il primo autore che parla esplicitamente di Arti Liberali è Isidoro di Siviglia, che nel VI secolo elenca nelle  Etymologiae (lib. 1,4,2) sette  discipline qualificandole come liberales da "liber, quia eas tantum illi noverunt qui libros conscribunt" e suddividendole tra relative al linguaggio quindi grammatica, retorica e dialettica e alla natura: aritmetica, geometria, musica e astronomia.

La Geometria in una miniatura del XV sec. 
Precedentemente le discipline erano nove ma già Marziano Capella  nel suo compendio  De nuptiis Philologiae et Mercurii allegoricamente esclude dal simposio seguito alle nozze tra filologia con mercurio (da cui il titolo ) medicina e architettura, considerandone così solo sette.

Nell'odierna Hardware age, in cui abbiamo scelto di vivere, il sette nel suo significato tradizionale  è utilizzato allegoricamente dalla Massoneria, l'unico ordine iniziatico rimasto in occidente. I riferimenti alle sette tappe di ascesa sono documentate in quest'ultima dal momento della sua evoluzione da speculativa a simbolica,  avvenuta  successivamente alla data formale  della sua nascita.
Dobbiamo anche, ad onor del Vero, rendere merito in Italia al Rito Simbolico Italiano per l'aver rimarcato la già presente unione d'intenti tra la tradizione italica e la Massoneria  (il R.S.I è un '''corpo rituale associato al Gran Oriente d'Italia'''), con una particolare e continua attenzione al rispetto dei valori iniziatici.                     moreno neri





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