mercoledì 1 agosto 2012

Questa stupida macchina che sa contare fino a due

Questa mattina mentre ero in fila alle poste per ritirare la pensione ho udito l'impiegata inveire ad alta voce contro il personal computer che stava utilizzando: 

"queste macchine sono stupide: sanno contare, lo sa vero? (rivolgendosi ad un ottuagenario utente) fino a due mentre persino il mio figlio piccolo conta fino a dieci con le dita".

La graziosa signora senza volere ha commentato il sistema binario allo stesso modo con cui il (gesuita) presidente del collegio astronomico imperiale cinese rispose alla lettera con cui Leibniz, padre del sistema binario, negli ultimi anni del XVII sec. gli illustrava la possibilità di utilizzare tale sistema per convertire al cattolicesimo l'Imperatore della Cina. 
Su Leibniz tornerò successivamente, l'argomento mi impone di proseguire con ordine.

Gli antropologi sono concordi (forse per l'unica volta) sul fatto che l'Uomo riesca a contare fino a dieci avendo le dita delle mani snodate e solo per questa abilità sia riuscito a concretizzare la propria capacità mentale di enumerare. Contare in maniera rapida e mostrare ad altri i numeri  è indispensabile per il baratto (la specializzazione sociale) e dal contare al costruire edifici, profani e sacri, il passo è breve.

capacità delle articolazioni delle mani
Ritrovamenti archeologici hanno dimostrato che gli esattori romani rilasciavano, in tutti i territori dell'Impero, come  "ricevute di pagamento" per le imposte incassate  tessere con impressa l'immagine di una mano le cui dita ne formano l'importo. L'altra lato recava impresso il numero corrispondente in cifre romane, aggiungendo così anche un fine educativo per le popolazioni conquistate. L'integrazione era il fine, non va mai dimenticato.

Da un lato il numero in cifre dall'altro  in "dita"

Ma tutto ciò che è nella nostra mente è l'espressione in potenza del trascendente: il dieci per i  Cercatori di Verità divenne ben presto più del numero delle dita presenti nelle mani.

In occidente la sacralità del numero dieci era uno dei fondamenti dell'Ordine Iniziatico fondato in Italia (nota bene) da Pitagora.Quella che è riportata dai testi come  "preghiera dei Pitagorici" è una apologia della sacralità del numero dieci:
"Benedici noi, o numero divino, tu da cui derivano gli dei e gli uomini. O santa, santa Tetrade, tu che contieni la radice, la sorgente dell'eterno flusso della creazione. Il numero divino si inizia coll'unità pura e profonda, e raggiunge il quattro sacro; poi produce la matrice di tutto, quella che tutto comprende, che tutto collega; il primo nato, quello che giammai devia, che non affatica, il sacro dieci, che ha in sé la chiave di tutte le cose."
Di seguito l'immagine che personalmente prediligo come rappresentazione simbolica e iconografica della Tetrade:

Tetrade in un  Codice Alchemico
I simboli, come scriveva  l'esoterista portoghese Fernando Pessoa ne "L'ora del diavolo", sono esseri viventi immortali, messaggeri (anghelos) tra il Trascendente e il visibile... al pari degli Dei.

Ad esempio il simbolo della Tetrade (o Tetraktys) unito a quello dell'Uroboro esprimono in me  la ciclicità parsimoniosa del moto, la sosta operosa e regolare del seme nella terra, del bimbo nel grembo, entrambi nutriti dal suono armonico delle sfere celesti.
Il dieci in numeri romani è rappresentato con una X,  la rappresentazione matematica  ancora oggi  dell'incognito, il risultato da svelare  di una equazione. E' ideogramma e simbolo allo stesso tempo del punto immateriale che unisce alchemicamente il macro al micro, l'ermetico  Come in alto così in basso; o, se preferite, il "pentolone colmo d'oro" allegoricamente sepolto ove l'arcobaleno tocca la Terra. 


"Et coeli et Terrae conjungit tertia vires :

Aequoreum, Coeli rore, rigando salem" 

Così è scritto nel  Hortulus Sacer , opera alchemica del 1732.

Roma fu fondata sacralmente da Pitagorici (Numa Pompilio in primis) e la lettera che rappresenta in cifre romane  il numero dieci sembra proprio la mappa del tesoro che reca le coordinate per ritrovare il nostro divino, il punto più allegoricamente lontano da noi stessi. Talmente lontano da essere raggiunto solamente tramite lo strumento più esotericamente evoluto in nostro possesso in quanto capace di riflettere la luce: lo speculum.


Non a caso l'espressione in sanscrito utilizzata per tradurre il nostro "tornare con i piedi per terra" è ceto-darpana-marjanam cioè "ripulire lo specchio".

Dante nel XXVI canto del Paradiso così evidenzia la divinità di "Adamo"
"Indi spirò: Sanz'essermi profertada te, la voglia tua discerno meglio che  tu qualunque cosa t'è piú certa; perch'io la veggio nel verace speglio che fa di sé pareglio all'altre cose, e nulla face lui di sé pareglio."

Il sommo poeta ci permette di ritornare al numero dieci, da lui così descritto nel Convivio (2, XIV, 3)
"con ciò sia cosa che, dal diece in su, non si vada se non esso diece alterando con gli altri nove e con se stesso..."
Poco prima della nascita di Dante, nel territorio corrispondente all'attuale Marocco, alcuni rabbini danno inizio alla speculazione che porterà ad una dottrina mistica vera e propria chiamata  Qabbalah . Essa nasce dall'esigenza di superare da parte dell'ebraismo la falsità delle mistificazioni dualiste, proprio come esponenti del sufismo secoli prima operarono tramite l'Alchimia. 

Non dimentichiamo che la durata del procedimento alchemico , superando l'arco della settimana, è incompatibile con i precetti dell'ebraismo: durante lo Shabat (festività del sabato) per l'ebreo osservante non è possibile lavorare manualmente e tutti i  fuochi domestici devono rimanere spenti. 

L'eccezione, spiegabile solo ad Alessandria d'Egitto prima del tragico editto di Teodosio I, è  Maria l'ebrea.

Platone e i pitagorici erano stati (finalmente) riconosciuti nuovamente come esponenti della Tradizione: tale è la traduzione della parola ebraica Qabbalah. I  Rabbi consacrano ai numeri la Ghematria (gīmatrīyā), un "rivolo" della Qabbalah il cui termine presenta una forte assonanza fonetica con la parola Geometria.

La nuova mistica ebraica custodisce il segreto del legame tra il numero dieci e il simbolismo della Luce: la numerologia esoterica della Ghemetria attribuisce a tale numero la funzione di sigillo della totalità. Misura dei corpi e ritmo della Luce del cosmo, fusione perfetta delle opposizioni numeriche che lo formano superando la propria univocità.
Nel misticismo ebraico tutte le parole sono emanazioni del divino e una parola ebraica di straordinaria intensità simboleggia (quindi unisce senza soluzione di individualità) il numero dieci e la Luce: Sefirah.

Molti sono i significati exoterici di tale termine nella lingua ebraica, quelli che più mi aggradano sono "confine" e "zaffiro",  forse perchè  mi permettono di percepire la forma e alla brillantezza del Sole. 
A questo proposito aggiungo che nel medioevo il Rabbi sefardita Moseh ibn Ezra avanzava l'ipotesi di un legame etimologico tra la parola Sefirah e il vocabolo greco sphaira, cioè "sfera". Concordo pienamente in quanto in un passo di un testo del VI secolo d.c. (Pesiqta Rabbati di una cui copia è conservata nella Biblioteca Palatina di Parma) il vocabolo Sefirah viene utilizzata con il significato di "palla".

Le dieci sefirot (plurale di Sefirah) divengono così per l'esoterismo ebraico i dieci numeri che rendono ragione di tutti gli elementi della creazione e delle sue possibili direzioni potenziali: le dieci vesti percepibili della Luce. Termini differenti per indicare la stessa sostanza della matrice della preghiera pitagorica sopra riportata.

disegno di Moshe De Leon (1250 – 1305)

Come già accennato,  il primo a capire le potenzialità del codice binario, cioè a base due, fu il  poliedrico Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716). 

Leibniz nel 1679  aggiorna il giovanile Dissertatio de Arte Combinatoria che, sulla base di una "caratteristica universale" e di un "calcolo logico", enuncia la capacità di rappresentare le idee e le loro relazioni mediante segni o "caratteri".



Frontespizio della prima edizione (1666)
della "De Arte Combinatoria"

Aveva in pratica scoperto che con lo 0 e con il numero 1, posti in una particolare successione, poteva rappresentare qualsiasi numero, ma anche ogni tipo di informazione umana quando, sempre con lo stesso sistema, affida la stessa logica di sequenza alle lettere dell'alfabeto. Questa teoria agli occhi dei suoi contemporanei (anche ai non Gesuiti) apparve come una speculazione stravagante e bizzarra. In realtà non avendo allora alcuna applicazione pratica non venne compresa e fu considerata un’inutile divagazione.

Nel 1689, durante il suo soggiorno romano, Leibnitz conosce il padre Gesuita Grimaldi con il quale convenne la necessità di scambi culturali fra l’Europa e la Cina. Da quel momento, inizia infatti un proficuo scambio epistolare con i missionari in Oriente e nel 1697 pubblica “Ultime Notizie dalla Cina” (Novissima Sinica) in cui raccoglie la fitta corrispondenza intrattenuta per tutti quegli anni con i gesuiti missionari. Ma fu solo nel 1703 che ricevette da parte di Padre Bouvet, anch’egli matematico, nuovo materiale inerente l’I Ching e fu allora con stupore che si rese conto che la sua stessa teoria inerente al “Sistema Binario” era enunciata in una mappa.

Jean Marie Ragon un secolo e mezzo più tardi ne Massoneria occulta e iniziazione inserirà Leibniz tra l'elenco dei  riscopritori, riferendosi probabilmente, nel caso specifico, al catalano  Raimondo Lullo che nel 1303 così scriveva nel suo prologo al Liber de nova logica:

"Per evitare la prolissità e la labilità della logica tradizionale, abbiamo pensato di inventare (mediante l'aiuto di Dio) una logica nuova e compendiosa che possa essere acquisita senza troppa difficoltà e troppa fatica, possa esser conservata nella memoria completamente e totalmente e ricordata con grande facilità"
Cioè un sistema per menti semplici congeniato da chi aveva ben capito che il potere religioso poggiava sull'ignoranza: al Concilio di Vienna del 1311 Lullo   chiese invano la ripresa delle crociate e il divieto dell'insegnamento dell'Averroismo. L'epilogo della vita di questo precursore del Sant'uffizio  è tragicomico: a Tunisi durante una (farneticante) predicazione viene sottratto a stento al linciaggio e imbarcato in gravissime condizioni su una nave genovese fino a Maiorca. Moltissime opere alchemiche furono attribuite nel medioevo a Lullo,  quasi sicuramente scritte da altri per il semplice motivo che fu beatificato da Pio IX; è più logico che a lui sia da attribuire l'etimologia del termine canzonatorio "lullone".


Leibniz è citato anche per i suoi presunti rapporti con i Rosa-Croce.


Diagramma contenuto nel "De Arte Combinatoria"
con  centralmente il simbolo rosacrociano

Nel Philosophische Schriften (edizione di P.Ritter del 1930,I tomo a p.276) addirittura Leibniz si spinse a scrivere di aver "sentito dire" (sic) che il manifesto rosacrociano, il misteroso Fama, fosse stato scritto dal matematico Joachin Jung. 

Il 1683 iscrive Leibniz nella storia dei calcolatori meccanici (gli antenati manuali di quelli elettronici) progettando, senza realizzarla, una macchina il cui funzionamento consisteva nell'addizionare il moltiplicando tante volte quante erano le cifre del moltiplicatore, con scatti di un carrello verso sinistra ad ogni cifra di quest' ultimo.


Macchina costruita nel 1920 fedelmente dal progetto di Leibniz

Il matematico vissuto un secolo più tardi, Pierre Simon Laplace , riporta una storia molto interessante in sintonia con la teoria che egli non fu influenzato da I Ching. Egli scrive di aver letto che quando Leibniz inventò il sistema binario lo fece perchè immaginava che l'uno rappresentasse la Luce e lo zero le Tenebre e che l'Essere Supremo avesse creato il cosmo  partendo da un vuoto, creato per delimitare il tutto. Può accadere anche questo a chi ha la sana abitudine  di camminare su di un pavimento a scacchi bianchi e neri.
Per inciso ciò poteva accadere anche prima del 24 giugno 1717.

La Tradizione ci insegna che ogni inizio non è altro che la fine di qualcosa di diverso (non necessariamente meglio o peggio) che ha esaurito la propria potenzialità. Il sistema decimale termina appunto con il dieci rappresentato da un 1 e da uno 0, gli stessi simboli che compongono in toto il sistema binario: lascio a voi il facile compito di sovrapporre uno e zero e osservare la potenza del simbolo che ne deriva.











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